Pochi giorni fa, sul blog di PIPAM è stato pubblicato un interessante articolo di Angelo Piller. Questo articolo ha aperto all’interno del nostro club (Mosca club Valli Bergamasche – www.moscaclubvallibergamasche.it) un vivo confronto su cosa sia davvero la Pesca a Mosca.
Inevitabilmente, questo confronto se volete anche di natura filosofica ed etica, si è intrecciato con le personali opinioni dei vari membri del nostro club.
In questo articolo vorrei riassumere il dibattito che è scaturito all’interno confini del nostro piccolo club e provare provocatoriamente ad allargare il medesimo anche all’esterno.
Nel suo editoriale, Piller correttamente evidenzia come la disciplina della Pesca a Mosca sia principalmente composta da tre tecniche principali: la pesca con la mosca secca, la pesca con la ninfa e lo streamer.
Sono convinto che alcuni di voi, immagino i secchisti più integerrimi, abbiano espresso contrarietà già di fronte a questa affermazione. Tuttavia, in questa prospettiva sarebbe troppo facile innescare l’annoso (e mai risolto) dibattito competitivo fra la pesca a secca e quella a ninfa. Non è questo il mio intento, né sono interessato ad una disamina di quale tecnica meglio ricada sotto la definizione originale di pesca a mosca. Sarebbe un discorso superficiale e senza alcuno scopo.
Nella pesca, prediligo da sempre la tecnica in superficie con mosca secca, tecnica storica da cui quasi tutti i testi sull’argomento fanno discendere le altre tecniche più moderne. Personalmente, è accaduto diverse volte di risolvere giornate di pesca poco brillanti grazie ad una ninfa. Per questo motivo, concordo ampiamente con Angelo che sapere gestire più o meno agilmente tutte le sfaccettature della pesca a mosca significhi essere un pescatore completo, in grado di far fronte a molteplici situazioni e ambienti.
Tuttavia è a questo punto della mia lettura dell’articolo originale che inizia a nascere un sentimento di disaccordo. L’intento dell’articolo di Piller è quello di narrare l’evoluzione che la pesca a ninfa sta avendo negli ultimi anni, ciò nonostante viene presto fatto il paragone con la pesca a secca, descrivendo questa tecnica quasi come un retaggio del passato e una tecnica statica, sempre uguale a se stessa nel tempo (“E' curioso notare come negli ultimi vent'anni la pesca a streamer e soprattutto la pesca a ninfa, abbiano avuto uno sviluppo piuttosto marcato, mentre la pesca a mosca secca è più o meno rimasta la stessa”)
Proseguendo nella lettura, il dissenso è aumentato quando la pesca a secca viene ridotta a “tecnica apparentemente difficoltosa” perché praticabile in un arco di tempo della giornata ridotto, mentre la pesca a ninfa è redditizia per il 90% della giornata.
Attenzione, il dissenso di cui sto parlando non nasce dalla necessità di una apologia della pesca a secca. Come già affermato, il senso di disaccordo deriva da qualcosa di più profondo della banale e sterile discussione di secca vs. ninfa. Infatti, concordo con Angelo Piller sul fatto che nella pesca a galla si gode del contatto visivo con l’esca, mentre con la pesca ninfa è difficile sapere con certezza cosa stia succedendo sotto acqua. Tuttavia non mi sento di banalizzare cosi la tecnica della secca e gli infiniti accorgimenti necessari per una corretta azione di pesca a galla.
Significativo è stato poi leggere il passaggio in cui Angelo descrive il paradosso in cui si trovano oggi i neofiti che si avvicinano al mondo della pesca a mosca. Come descrive giustamente Piller, il pescatore a mosca di qualche anno fa passava ore ed ore a lanciare sul prato, mentre il neofita di oggi viene subito portato in fiume con una canna, una ninfa e pesca a filo.
Ho trovato significativo a questo proposito il passaggio in cui Piller sottolinea come sia “significativo il fatto che chi inizia a pescare a mosca venga spesso indirizzato verso scuole di lancio che per l'appunto insegnano a lanciare, mentre chi non ha mai pescato a mosca e vuole iniziare a pescare a ninfa, viene mandato ad un corso di pesca a ninfa che si svolge direttamente in pesca". Fortunatamente i club che ho avuto modo di frequentare non funzionano più cosi, ma sanno offrire proposte che mescolano attività sul fiume e attività di lancio.
Ed è a questo punto, quando viene citato il famoso “senso dell’acqua” che è nata la provocazione che ho voluto lanciare all’interno del mio club e che qui vi riporto.
Nell’editoriale di Piller viene posta molta enfasi sull’evoluzione e l’accelerazione che la pesca ninfa sta avendo, spesso data dalla spinta del settore delle competizioni agonistiche, che hanno portato ad evolvere canne, code e artificiali.
Tuttavia, riprendendo l’articolo di Angelo, mi chiedo se le scuole di lancio e i club debbano davvero proporre meno lanci sul prato e attirare nuovi pescatori con la promessa di più catture attraverso tecniche come la pesca a filo e se questo approccio sia davvero educativo e corretto per chi si avvicina alla pesca a mosca per la prima volta.
Mi spiego meglio. L’approccio alla pesca a mosca, come già sottolineato da Piller, è indubbiamente influenzato dalla tecnica e dalla filosofia di pensiero della persona che introduce una neofita alla pesca. Se il mentore predilige la pesca a secca è molto più probabile che il neofita pescherà a secca; viceversa, se il mentore predilige la pesca a ninfa anche il neofita solitamente abbraccerà questo approccio. A questo proposito non va però dimenticato che entrambe le tecniche di pesca a mosca condividono alla base una filosofia, un’etica e un approccio al fiume che viene inteso come ecosistema e come comunione con la natura e i suoi ritmi.
Una degli aspetti che hanno caratterizzato il mio avvicinamento alla pesca a mosca è stato lo scoprire il ritmo del fiume, il ritmo delle schiuse, delle fasi di luce e il ciclo di alimentazione dei pesci prima ancora del tipo di artificiale da utilizzare. Nei club di pesca a mosca credo sia importante educare i nuovi arrivati e i giovani alla filosofia e all’etica della pesca a mosca, aspetti questi ultimi che la caratterizzano e la differenziano da molte altre tecniche di pesca.
La pesca a mosca, prima che mera tecnica orientata alle catture, è un approccio al fiume come ecosistema.
Ricordo ancora gli insegnamenti che le persone che mi hanno introdotto alla pesca a mosca mi hanno dato come fondamentali. È importante rispettare il fiume, coglierne le diverse anime, tante quante le correnti che lo costituiscono. È importante rispettarlo e rispettare chi pesca vicino a noi. Agli inizi, parallelamente alle tecniche di lancio della coda su prato, mi venne insegnato anche un codice di comportamento sul fiume. Mi venne insegnato che la pesca a mosca, prima che cattura, è filosofia e pensiero.
Dal mio punto di vista pescare a mosca è quasi una sorta di catarsi spirituale, il divenire un tutt’uno con il fiume e con l’ambiente circostante. Ho spesso l’impressione che questi aspetti, forse troppo romantici e idealisti, siano sempre meno considerati nell’insegnamento della pesca a mosca e della sua filosofia. Credo pertanto che la pesca a filo e l’evoluzione descritta da Piller nel suo articolo (che ripeto, ho trovato molto interessante) siano frutto proprio di questa mancanza moderna.
Questo è secondo me quello che trasforma l’evoluzione della pesca a ninfa descritta da Piller, in una più generale involuzione della pesca a mosca.
Attenzione, non sto criticando la pesca a ninfa ne tanto meno l’articolo di Angelo. Come ho premesso all’inizio del mio commento, ritengo ninfa, secca e streamer tecniche diverse della medesima pesca e che l’articolo di Piller è stato spunto per una riflessione sui temi appena descritti. Ritengo che l’evoluzione nelle tecniche da ninfa, ben descritta da Piller, corrisponda ad un impoverimento dei valori e della filosofia che permeava la pesca a mosca anche solo dieci o quindici anni fa, quando ancora non era una moda ma una scelta.
La spinta verso la massimizzazione delle catture ha portato alla nascita della pesca a filo, indicatori di vario genere e pasta di tungsteno. La medesima ha favorito anche la mutuazione di attrezzature da altre tecniche per la massimizzazione delle catture. Probabilmente in tutto questo ha avuto un ruolo anche la necessità di fidelizzare i nuovi iscritti ai club, con la promessa del numero di catture elevato rispetto ad altre tecniche (fra cui anche la piu “semplice” pesca a secca) a discapito della trasmissione dei valori di cui i club erano depositari.
Nell’articolo di Piller viene descritta una pesca a mosca che ho percepito come fredda, solo rivolta ai numeri. Per come vivo la pesca a mosca, essa è una attività avvolgente e che riscalda nella quale non importa il numero di pesci presi ma ciò che conta è il solo fatto di essere sul fiume.
Non è solo il numero di pesci presi in una battuta che da soddisfazione, ma anche la semplice coda fra le dita, i piedi in acqua e il profumo del calciolo di sughero sono aspetti importanti. Aspetti che vanno insegnati e trasmessi ai giovani piuttosto che favorire la cultura dei numeri.
Per dirla con altre parole, mi chiedo cosa sia rimasto della filosofia della pesca a mosca nella moderna pesca a filo. È una tecnica sicuramente redditizia, che nasce dalle necessità di massimizzare i risultati in gara. Tuttavia, in tutte le attività in cui di deve massimizzare il profitto (in questo caso rappresentato dal numero di catture) è necessario effettuare dei tagli su aspetti ritenuti superflui (in questo caso l’educazione ai ritmi del fiume e agli aspetti filosofici della pesca).
Canne lunghe 12 o 13 piedi che assomigliano più a canne da pesca al tocco, filo conico mutuato dal surf casting in sostituzione della coda, pasta di tungsteno mutuata dal carp fishing per favorire l’affondamento…Cosa rimane della filosofia della pesca a mosca tradizionale in una tecnica come questa? Esiste un’anima in questo tipo di pesca?
Mi chiedo perché ci si ostini ad ibridare la pesca a mosca con influenze provenienti da altre tecniche, snaturandone di fatto l’essenza originale.
Per definizione, la pesca con la mosca è fatta di una coda, un finale e una mosca. La tecnica di lancio è parte costituiva dell’azione e della tecnica di pesca. Questi aspetti sono sempre stati l’anima e la differenza della tecnica con la mosca rispetto ad altri tipi di pesca. Dal mio punto di vista, le recenti evoluzioni descritte nell’articolo di Piller nulla hanno a che fare con questi elementi essenziali ed originali.
Le scuole di lancio, i club, il lancio sul prato possono essere momenti noiosi per un neofita perché pospongono il momento della prima cattura. Tuttavia, a mio avviso, rappresentano fasi importanti nella crescita di un moschista poiché favoriscono la maturazione e l’educazione dei neofiti in maniera consapevole.
Differentemente, credo che la cultura della cattura a tutti i costi secondo l’approccio della pesca a filo, favorisca solamente un approccio strumentale al fiume e non più un amore per esso.
Concludo sottolineando che questi pensieri non sono una critica ad Angelo Piller, che ritengo essere una persona prestigiosa nell’ambito della nostra passione comune. Non vuole aprire assolutamente al solito dibattitto ninfa-secca, ma portare il confronto su un piano un po’ più profondo, più di natura filosofica.
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